A cura di Rosa Bianco
Simone Weil è una delle “intelligenze più alte e pure di questo secolo”, come osservò Carlo Bo: filosofa sociale, mistica cristiana e attivista nella Resistenza durante la II Guerra Mondiale, ha affascinato il mondo per la sua straordinaria vicenda esistenziale e per i suoi ideali di giustizia sociale. Nacque a Parigi il 3 febbraio del 1909 da una ricca famiglia ebraica non praticante che le consentì un’educazione perfetta anche se alquanto severa (fu precoce come il fratello André, divenuto uno dei più grandi matematici moderni del 20° secolo). Di salute cagionevole, a 16 anni ebbe una grave crisi depressiva e iniziò a soffrire di tremende emicranie. Seguì studi di filosofia, filologia e scienze; nel 1928 si classificò prima all’esame di ammissione presso l’École Normale Supérieure (seguita da Simone de Beauvoir, che arrivò seconda).
Interessata al movimento operaio e al sindacato, si avvicinò al Marxismo (del quale rifiutò però il totalitarismo) – ospitando per un breve periodo Trotzkij, oppositore antistalinista riparato all’estero – e fu vicina alle correnti anarchiche. Tra il 1931 e il 1938, fu insegnante di filosofia presso alcuni licei femminili, incontrando spesso problemi con i rappresentanti scolastici istituzionali e subendo ingiusti trasferimenti a causa del suo impegno civile a sinistra, dalla parte dei più poveri, e del suo attivismo sovversivo alla testa di manifestazioni e picchettaggi, e alle prese con semidigiuni di supporto o di protesta. Tra il 1934 e il 1935 volle porsi sullo stesso piano del proletariato, sperimentando le dure condizioni di lavoro operaio presso la Renault (e distribuendo gran parte del suo salario ai lavoratori disoccupati): raccontò questa defatigante esperienza, che aveva messo a dura prova la sua spiritualità e la sua salute, in un diario e in alcune lettere che furono raccolte e pubblicate postume nel 1951 in “La condizione operaria (La condition ouvrière)”. Più tardi sperimentò anche il pesante lavoro nei campi come raccoglitrice d’uva. Nel 1936, nonostante il suo pacifismo, fu a fianco degli antifranchisti aggregandosi a un’unità anarchica vicino Saragoza. Nel 1937, dopo aver lasciato la Spagna per gravi problemi di salute, mentre si trovava all’interno della Chiesa di San Francesco in Assisi ebbe la prima di una serie di estasi mistiche, un «incontro con Cristo», e si votò alla verità, problema squisitamente personale da raggiungere attraverso l’introspezione. Nel 1938 si convertì al Cattolicesimo, rifiutando però il Battesimo.
Durante la guerra, dopo l’occupazione tedesca di Parigi, nel 1942, per implorazione dei parenti scappò negli Stati Uniti ma poi rientrò in Inghilterra (a Londra) per militare nella Resistenza con “France Libre”. Colpita dalla tubercolosi, aggravata per le dure esperienze di vita e per i lunghi semidigiuni (pretendeva di nutrirsi con quelle che erano le dosi alimentari destinate ai francesi nella patria occupata), fu costretta a ricoverarsi nel sanatorio di Ashford, nel Kent, ove morì il 24 agosto del 1943, dopo aver rifiutato cibo e medicine (i medici diagnosticarono un suicidio volontario o una malattia mentale, che forse oggi potremmo individuare come un’anoressia nervosa).
Donna eccentrica e introversa, dallo stile di vita ascetico e dal temperamento insieme rivoluzionario e cristiano, viveva con angoscia tra crisi mistiche e spirito agnostico, rivolgendosi nonostante le origini ebraiche al Cattolicesimo Romano, a Platone e alle tradizioni greche, oltre che al mondo orientale interessandosi d’Induismo e Buddismo Mahayana (per Simone, la fede è comunque un atto di consenso: «come di una sposa che dice di sì»). Tutti i suoi scritti (numerosi e interessantissimi) riflettevano questi contrastanti sentimenti ed erano imbevuti di ricerca di verità e di carità (intesa sia come riconoscimento della dignità dell’altro sia come atto di giustizia, al fine di restituire all’altro ciò che gli è dovuto per il valore della sua umanità), di senso religioso e di etica, di politica marxista e di giustizia sociale ma con nel fondo una sorta di pessimismo utopico contrapposto al soggettivismo moderno. Essi sono stati pubblicati postumi negli anni ’50: in vita pubblicò soltanto qualche poesia e diversi articoli sotto lo pseudonimo Emile Novis, frutto di un anagramma. La pubblicazione integrale è stata fatta in modo filologico (tentando di evitare criteri non arbitrari), a cura soprattutto del padre domenicano Joseph- Marie Perrin, amico e confidente di Simone, e dello scrittore francese Gustave Thibon che l’aveva conosciuta alla fine degli anni ’40 e che aveva ricevuto in consegna tutta la sua produzione. Tra le opere più importanti della Weil, che coprono due periodi (uno di pensiero politico-filosofico e uno di studi teologico-spirituali), sono da ricordare: “L’ombra e la grazia (La pesanteur et la grâce)” (1947) – le due forze primitive che regnano sugli esseri umani – , una raccolta di saggi religiosi e aforismi; “La prima radice (L’enraciment)” (1949) contro tutte le logiche di sradicamento capaci di costruire all’uomo un mondo fittizio e sugli obblighi che competono agli individui e allo Stato (un’analisi concreta contenente anche un piano ambizioso da lei suggerito per il futuro della Francia dopo la guerra mondiale); “Attesa di Dio (Attente de Dieu)” (1950), la sua autobiografia spirituale; “La conoscenza soprannaturale (La connaissance surnaturelle)” (1950); “Lettera a un religioso (Lettre à un religieux)” (1951); “La Grecia e le intuizioni precristiane (Intuitions pré-chrétiennes)” (1951); i tre volumi di “Quaderni (Cahiers)” (1951-1956); “La fonte greca (La source Grecque” (1953); e “Oppressione e libertà (Oppression et liberté)” (1955), una raccolta di saggi sulla filosofia e sul linguaggio in cui manifestava l’orrore per il totalitarismo – quella pervasiva presenza del potere politico in grado di impoverire la spiritualità dell’uomo e di annientarne la personalità – e in cui sosteneva anche la possibilità della libertà individuale nei vari sistemi politico-sociali (questi scritti hanno significato per Simone la chiusura col Comunismo, ideologia accarezzata per anni).
Io e Simone
Mi ha colpito in particolar modo la sua concezione dell’arte: «Un’opera d’arte ha un autore, e tuttavia, se essa è perfetta, possiede qualcosa di essenzialmente anonimo. Essa imita l’anonimato dell’arte divina».
L’arte autentica ha, per lei, una missione sacra: insegna l’indifferenza del tempo e dello spazio, e rende consapevoli della nostra sottomissione alla necessità: Il vero artista dunque non si affida all’immaginazione – che è fallace, perché rappresenta un «me dentro di me» – ma lascia entrare la grazia attraverso la contemplazione. Come Hannah Arendt, la Weil scorge nella bellezza la manifestazione più pregnante con cui l’essere si rivela, la forma che ci invita ad amarlo; ma occorre tracciare una distanza dall’oggetto amato, per lasciarlo com’è, senza volontà d’impadronirsene.
“Il Concerto interrotto di Tiziano”: Simone Weil portò con sé una copia di questo dipinto dal viaggio in Italia, verso la quale mantenne un sentimento di nostalgia. Vito Mancuso affermerà che «in lei si possono trovare pagine di luminoso amore per il mondo e per la vita accanto ad altre di segno opposto e se dovessi paragonarla a un pittore, penso che potrei fare il nome di Caravaggio, Rembrandt