a cura di Rosa Bianco
Mileto (Ionia) – Atene (Grecia), 400 a. C. circa
Nell’antichità non ci fu una cultura così prevaricante nei confronti delle donne, come poi accadde nei secoli successivi. Le prime fonti ritrovate, infatti, parlano di società primitive matriarcali, centrate intorno alla figura della donna anziana ed autorevole. Passando attraverso le Veneri, primi esempi di scultura paleolitica, si può vedere come la donna godesse di un particolare potere in quanto creatrice di vita: la sua fertilità e il suo dare alla luce dei figli conferivano alle madri un particolare potere. La situazione cambia con le prime civiltà evolute: mentre in Mesopotamia la femmina poteva ancora ricoprire qualche carica politica e far sentire la sua voce, nella Grecia dei primi secoli il suo ruolo fu già decisamente ridimensionato. I nomi “rosa” della cultura già trovano difficoltà a farsi strada fra gli uomini, superiori a loro per potenza fisica e per considerazione.
Quasi nessuno cita, quale esempio importante di donna letterata, il nome di Aspasia di Mileto. Il suo nome è spesso ricondotto al ruolo dell’etera in maniera particolarmente riduttiva: nei licei, spesso, la si sente nominare in quanto concubina di Pericle, il celebre statista ateniese del V sec. a.C.
E’ vero che non esiste nessuna donna greca che non sia diventata famosa se non attraverso un uomo ed anche Aspasia non fa eccezione in quanto era la compagna dell’ateniese più potente del V secolo a. C., Pericle, ma è opportuno precisare l’eccezionalità del personaggio su due livelli.
Rispetto al primo livello, dobbiamo ricordare che Aspasia era nata in Asia Minore, probabilmente a Mileto, e che ad Atene ebbe fino alla morte lo statuto di meteca, ovvero di straniera con il solo diritto di residenza. Quasi certamente fu questa condizione che non le permise di diventare la moglie legittima di Pericle e, nonostante ciò, i due nomi sono nella storia costantemente collegati.
Rispetto al secondo livello di eccezionalità, dobbiamo sottolineare che Pericle imponeva l’anonimato alle vedove dei morti in guerra, come scrive Virginia Woolf, “la gloria più grande per una donna è che non si parli di lei, diceva Pericle, che, dal canto suo, era uno degli uomini di cui si parlava di più”. Nonostante queste idee sulle donne, Pericle visse fino alla morte con Aspasia, rispettandola e ammirandola.
Le notizie storiche su Aspasia sono contenute nella “Vita di Pericle” di Plutarco e nel “Menesseno” di Platone. Mentre nella prima opera si approfondisce il rapporto di Aspasia con Pericle, che amava questa donna “sapiente e versata nella politica”, nell’opera di Platone si parla del rapporto, meno noto, di Aspasia con Socrate.
Aspasia ha il ruolo di “Maestro sul discepolo Socrate”, il quale viene severamente redarguito quando non è troppo rapido nell’apprendere (Menesseno, 236b-c), ma ha anche la funzione di formare i più grandi oratori della Grecia, a partire da Pericle (Menesseno, 235e).
Quando il ricco Callia vuole dare al figlio un maestro eccelso e per un consiglio consulta Socrate, egli resta incredulo quando questi gli indica Aspasia, una donna.
Io e Aspasia (ovvero la teoria dell’amore di Aspasia, che è un pò anche la mia):
Socrate, oltre a studiare retorica e filosofia sotto la guida di Aspasia, imparò da lei tutto quello che riguarda l’amore. La teoria di Aspasia, secondo la quale si ha l’amore quando l’eros è unito all’areté (virtù), fu assunta in toto dal filosofo ateniese. Di più, la tradizione vuole che Socrate, proprio grazie all’insegnamento di Aspasia, giungesse a predicare che non c’è nessuna differenza tra la virtù di un uomo e la virtù di una donna.
Questo lo sappiamo grazie al misogino Aristotele (Politica, 1260a), che contesta la posizione di Socrate come pericoloso capriccio, capace di infondere nelle donne inutili idee di uguaglianza. E’ sintomatico lo scambio di battute tra un uomo e una donna riportato da Callia.
“Perchè sei così superba e orgogliosa?, domanda l’uomo.
“Ne ho diritto. Giacché Socrate ne è la causa”, risponde la donna.
Di tutto questo non c’è traccia né nei libri universitari né in quelli scolastici. Gli studiosi, forse perché risultava imbarazzante ricordare ai posteri che Pericle e Socrate avevano avuto come Maestra una donna, hanno gradualmente cancellato dalle loro opere – sulla scia di Aristotele – il talento di Aspasia per celebrarne solo la bellezza, trasformandola – come sempre nel mondo occidentale – in un simbolo erotico. Il risultato? Quasi tutti, oggi, sanno chi é Socrate, ma nessuno ricorda il nome di Aspasia.
Condivido le osservazioni dell’articolista e aggiungo che nella storia della filosofia vi sono tantissime donne filosofe che non vengono citate dai manuali scolastici. La storia della filosofia è quasi completamente al maschile. Nella scuola di Pitagora vi erano per esempio, ben 17 donne filosofe di cui non si parla, e tante altre che hanno partecipato in maniera rilevante al dibattito filosofico. Io credo che il motivo non sia soltanto in una scelta di esclusione della donna dall’attività intellettuale ma sia anche da ricercare nel fatto che nella storia della filosofia ha prevalso l’impostazione analitica su quella creativa che è propria dell’universo femminile. La filosofia privilegia il principio di non contraddizione aristotelico che non consente posizioni chiaroscurali, ed è intollerante verso tutto ciò che richiama la penombra, benché grandi filosofi come Platone fanno capire chiaramente che la verità è solo nella penombra e non certamente nell’abbaglio della luce del sole. Nel 900 poi abbiamo tantissime filosofe appena accennate nei testi scolastici, sulle quali occorrerebbe compiere studi approfonditi perché ci hanno lasciato eredità culturali estremamente importanti. Cito tra le tante Maria Zambrano, ma anche Hanna Harendt, Simone Weil, Anna Freud, Simone De Beauvoir.